sabato 26 gennaio 2008

La prima guerra mondiale

Ecco un video della Prima guerra mondiale

Il cavallo di Troia


La città si Troia venne infine conquistata senza battaglia, con un inganno. Dopo moltissime battaglie, Odisseo concepì un nuovo inganno, un gigantesco cavallo di legno, cavo, un animale sacro ai troiani. Venne costruito da Epeo, guidato a sua volta da Atena. Il legno venne recuperato dal boschetto sacro di Apollo. Vi fu scritto sopra: “I greci dedicano questa offerta di ringraziamento ad Atena per un buon ritorno” Il cavallo, cavo, venne riempito da soldati. Apollodoro dice che entrarono nel cavallo 50 uomini, attribuendo allo scrittore della Piccola Iliade, la concezione secondo la quale entrarono nel cavallo ben 3000 uomini, ipotesi assurda. Infatti il cavallo era si, grande, ma non enorme tanto da ospitare 3000 uomini. Se avesse ospitato 3000 uomini sarebbe stato alto 300 metri e largo mezzo chilometro. Il resto dell’esercito abbandonò il campo e si recò con tutta la flotta nell’isola di Tenedo. Quando i Troiani scoprirono che i Greci se ne erano andati, credendo che la guerra fosse finita, trascinarono gioiosamente il cavallo nella città. Seguendo la piccola Iliade, dice che i troiani tirarono giù una parte del muro per fare passare il cavallo. Prima di farlo si parlò molto su cosa bisognava fare del cavallo. Alcuni pensavano di gettarlo giù da una rupe, altri di bruciarlo, altri di dedicarlo ad Atena. Alcuni uomini, capendo che Agamennone, il re degli Achei, non si sarebbe arreso così facilmente, avvertirono i troiani che era un inganno. Ma non furono ascoltati, perché, per la religione troiana, il cavallo è una figura sacra e non va mai bruciata. I troiani decisero allora di portare in città il cavallo e passarono la notte fra i festeggiamenti. Sinone, una spia achea, diede segnale alla flotta, ferma a Tenedo, di partire. I soldati, usciti dal cavallo, uccisero le sentinelle. E così aprirono le porte ai compagni e Troia fu distrutta.


Dove si trova Troia?

I resti di Troia sono stati trovati in Turchia. Non si sa se è veramente la città di Troia, ma è l’unico sito ritrovato attenibile alla descrizione di Omero.

Il cavallo
Alcuni pensano che il cavallo di Troia rappresenti in realtà un terremoto che indebolì le mura, permettendo ai greci di poterle sfondare. Studi archeologici sul settimo strato della città di Troia, quella dell’Iliade, e su alcuni manufatti rinvenuti dimostrano come davvero vi sia stato un terremoto. Alcuni pensano però che sia l’ottavo strato di Troia, quello riguardante la Troia omerica. Alcuni pensano che il cavallo sia il pezzo di un apparato di assedio. Se seguiamo la tesi, secondo la quale all’interno del cavallo vi fossero 3000 uomini, ricordiamo che quello era il numero di uomini dell’equipaggio di un “helepolis”, un’arma d’assedio di età ellenistica. Inoltre nota che spesso gli Assiri usarono armi da guerra chiamandole con nomi di animale. Troia forse è stata conquistata probabilmente con una torre di legno a ruote coperte con pelli di cavallo bagnate per proteggerle dalle frecce infuocate.
Gli achei entrarono così in città e uccisero gli abitanti addormentati. Ne seguì un grande massacro che continuò anche nella giornata seguente: “Il sangue scorreva in torrenti, faceva marcire il terreno, era quello dei troiani e dei suoi alleati stranieri morti. Gli uomini giacevano repressi nella amare morte, tutta la città da su e giù era bagnata del loro sangue” (Quinto Smirneo) Tutto non andò però come volevano gli achei, i troiani, alimentati dall’alcool e dalla disperazione lottarono ancora più feroce mente. Con la lotta al culmine, con la città in fiamme, i nemici si rivestirono delle armi e, con grande sorpresa dei greci, contrattaccarono nei combattimenti caotici in strada. Tutti cercavano di difendere la propria città, lanciando tegole o altri oggetti sulle teste dei nemici che passavano. Il destino dei troiani era però ormai segnato, ormai i nemici avevano fatto una breccia nelle mura, erano sicuri che avesse vinto.


Altri cavalli della Storia

Nel corso della Storia ci furono altri “Cavalli di Troia”, anche se in circostanze diverse e in modi diversi. Basti ricordare che molti vietnamiti mettevano le bombe, da usare contro le truppe statunitensi, nella pancia dei cammelli. Gli inglesi li avevano scoperti, e si erano muniti di segnalatori di bombe, che servivano per esaminare i cammelli con un metal detector. Anche i kamikaze sono così: sono una specie di cavallo di Troia che si fanno esplodere quando stanno nella gente.

News: Piero Angela

Roma, 23 gen. (Adnkronos/Adnkronos Cultura) -Piero Angela sale in cattedra ed incontra gli studenti della Facolta' di Architettura di Roma in un incontro dal titolo ''Da Quark a Superquark: quando la tv diventa marchio''. Previsto per venerdi' 25 gennaio alle ore 10.30 nell'Aula Magna della sede universitaria di Valle Giulia a Roma, l'incontro sara' occasione per ripercorre la storia del programma piu' celebre di Piero Angela.Promosso da Marianna Buonassisi, giornalista del ''Televenerdi''' di Repubblica e docente del Laboratorio Integrativo di Rappresentazione Televisiva, l'appuntamento rientra in un ciclo di incontri con i professionisti della televisione finalizzati a dare spunti creativi agli studenti che dovranno girare, come prova d'esame, un video di 5', su un tema a meta' tra architettura e informazione. Quest'anno la prova d'esame sara' raccontare in video la storia dei senzatetto che hanno scelto come dormitorio il Pincetto del cimitero monumentale del Verano.

La morte di Napoleone: tutte le cause

Napoleone, dopo la sconfitta di Waterloo, venne esiliato nell’Isola di S. Elena, in pieno Oceano Atlantico. Sant’Elena è una piccola isola di proprietà del governo britannico, dove ci sono due o tre città. Napoleone venne esiliato nel 1815. Rivoluzionò ogni cosa nell’isola: creò scuole, case e anche il servizio urbano per raccogliere la spazzatura. In questa isola Napoleone si portò i suoi ufficiali più fidati con qualche battaglione di soldati. Vie di fuga non ce n’erano, perché l’isola era controllata a vista da una flotta inglese e poi era molto lontana dalla terraferma e quindi pochissime possibilità di fuga. Napoleone poteva muoversi liberamente nell’isola, ma lui era infelice, perché era controllato a vista.
Passarono parecchi anni e arrivò il 1820-21. Napoleone si ammalò e stette per parecchio tempo a letto. poi si riprese, per poi ammalarsi di nuovo. Napoleone aveva delle forti contrazioni allo stomaco e il 1821 Napoleone, nel suo letto, circondato dai suoi più illustri ufficiali, muore.

Le cause della morte

Subito dopo della sua morte, un medico effettuò una apertura dell’addome. Su un libro, trovato nella biblioteca segreta di Napoleone, c’è proprio scritto quello che il medico vide quando aprì l’addome. Trovò una grande ulcera allo stomaco e un grosso cancro sempre allo stomaco. Un medico di Napoleone, per curare le contrazioni dello stomaco, gli prescrive una medicina. Sono cinque pillole da prendere al giorno per curare questo malore. Napoleone sente fortissime contrazioni e, invece di prenderne 5, ne prende addirittura venti. Proprio per questo è presenta una ulcera allo stomaco.
Chi è stato a uccidere Napoleone?
Tutti dicono che Napoleone sia morto di cause naturali. Fino a quando due scienziati trovano, nei capelli di napoleone, tracce di un arsenico. Così si ipotizza che furono gli inglesi ad avvelenare Napoleone. Ma gli inglesi si difendono dicendo che, nel 1800, per conservare qualcosa, si usava dell’arsenico. Difese accettate. Facendo altri studi si scoprì che l’arsenico non si trovava esternamente ai capelli, ma nell’interno del capello. Gli inglesi si difendono dicendo che, con il passare del tempo, l’arsenico poteva entrare nel capello stesso. Difese accettate.
Poco tempo fa si è condotto uno studio, di scienziati francesi. Dopo qualche mese di ricerca e dopo aver analizzato tutti i documenti e le prove, sono arrivati a duna conclusione: Napoleone è morto di morte naturale, di cancro allo stomaco provocato sia dai farmaci sbagliati sia dalla non curanza dell’imperatore.

Un altro mistero della storia è stato svelato…

venerdì 25 gennaio 2008

Vercingetorige, il gallo che sfidò un impero


Non si sa quando sia nato Vercingetorige. Era capo degli arverni, tribù della Gallia. Nel 52 a.C. guidò il suo popolo e le altre tribù galliche in una rivolta contro la dominazione romana. Ebbe alcuni successi nelle prime campagne contro i romani, poi venne inseguito dai romani, comandati da Giulio Cesare, e si rifugiò ad Alesia (con alcuni suoi uomini). Alesia era una città gallica piccola, ma con mura grandi e spesse. Dentro la città c’erano qualche centinaio di soldati e molte donne e bambini. Cesare non attaccò subito la città, perché sapeva che avrebbe avuto grosse perdite, ma circondò la città con due palizzate, una per la città e l’altra per non far arrivare un altro esercito a liberare Vercingetorige. In mezzo a queste due palizzate c’erano i romani. Cesare aspettò per sette lunghi anni. Ad Alesia, intanto, le scorte erano quasi finite e non bastavano a tutte le persone della città. Così Vercingetorige fece uscire dalla porta donne e bambini che chiesero del cibo. Ma Cesare gli rimandò indietro che furono cacciati da Vercingetorige. E così queste donne e questi bambini morirono per la fame. Arrivò un enorme esercito che doveva liberare Vercingetorige e i suoi soldati. L’esercito attaccò nel punto più debole della palizzata. Intanto Vercingetorige era uscito dalle porte della città e attaccava dallo stesso lato. Cesare portò tutte le sue truppe in quel punto: non bisognava far unire Vercingetorige con gli altri galli, altrimenti i romani morivano. Infatti vercingetorige era un grande capo astuto e forte in battaglia.

L’esercito liberatore di galli attacca la palizzata con catapulte infuocate e arieti. I romani rispondono con una pioggia di frecce e con le balliste. I galli riescono ad aprire un varco nella palizzata, così avviene un primo contatto con l’esercito romano. Intanto Vercingetorige premeva dal lato opposto. L’esercito gallo riuscì a guadagnare terreno, ma sarà l’intervento della cavalleria romana a respingerlo. Vercingetorige guarda per l’ultima volta il suo grande esercito scappare a gambe levate. Così Vercingetorige si ritira nella città. Subito dopo uscì dalla città e riconobbe Cesare come vincitore della guerra. Vercingetorige e i suoi soldati furono catturati e portati a Roma come trofeo. Nel 46 d.C. il popolo di Roma fa giustiziare Vercingetorige tagliandoli la testa.

Gli Unni


Gli unni erano un popolo barbaro che viveva in Asia centrale e settentrionale. Era un popolo che aveva origini sconosciute, perché non hanno lasciato nessuna traccia del loro passato. Solo a partire dal VI-VII secolo d.C. si sono trovate tracce di questo popolo nordico. Infatti gli unni migrarono verso sud, vero l’Europa. Vivevano in tribù primitive, con capanne fatte in paglia e legno. Ma sapevano cavalcare molto bene e usare armi primitive (arco, frecce, spada) con una grande maestria. I bambini unni, fin da piccoli, erano abituati ad usare l’arco con le frecce e a cavalcare. Gli archi unni erano potentissimi: infatti erano fatti di corno di cervo e tendine di animale. Per tendere questo arco ci voleva una forza sovrumana, che permetteva alla freccia di raggiungere una potenza e una velocità impressionante. Gli arcieri unni cavalcavano a cavallo, scagliando anche trenta frecce al minuto.
Nel VI-VII secolo d.C., gli unni scesero a sud, vero l’Europa comandati dal loro capo “Attila”. Attila attraversò tutta l’Europa devastando città e villaggi, bruciando tutto e tutti. Attila e i suoi uomini si scontrarono contro le legioni romane. La tecnica usata spesso da Attila contro i romani, era semplice, ma devastante. Infatti consisteva in due file di arcieri, la seconda scagliava frecce in alto, costringendo ai romani di alzare gli scudi, lasciando aperto il lato laterale. La prima fila di arcieri unni scagliava frecce orizzontalmente, colpendo così i romani che si trovavano in prima fila. Attila arrivò fino alle porte di Ravenna, ma fu fermato dal Papa Leone X (si dice che Attila si spaventò vedendo due santi sulle spalle del Papa). Attila si ritirò sulle sponde del Reno, dove fu sconfitto dalle legioni romane. Alla fine ritornò nei territori asiatici, dove morì di cause misteriose. Gli unni, dopo la morte di Attila, si divisero in tante tribù perennemente in lotta tra loro. Era una vra e propria guerra civile, che causò la scomparsa degli unni.